E persi la testa per lei

E persi la testa per lei


Quando la vidi affacciata al suo balcone ebbi presto la sensazione che avrei perso la testa per lei, una premonizione probabilmente, ma era bellissima e non me ne curai. Era amorevolmente intenta a curare i suoi vasi di aromi tanto rigogliosi ed abbondanti che tutto il dolce profumo dell’aria di Palermo sembrava venire da quella casa, non ricordo bene ma sarà stata Primavera.

Straniero in questa terra di conquistata le urlai subito il mio amore con vigore, la gola era ancora connessa al resto del corpo ed al cuore, da li vennero quelle parole che il mio giovane fiato spinse fin sulla sua balaustra. La fanciulla sembrava che le aspettasse da sempre, le riconobbe in fretta, volse i suoi occhi chiari verso i miei scuri e sorrise, mi amò, forse troppo in fretta.

Le raccontai del mio Oriente e del viaggio che mi aveva condotto a questa terra e a lei, del deserto, del mio coraggio in battaglia e mi amò ancora. Mi sentii a casa li tra quelle mura, tra quelle braccia e tra quei profumi sarei potuto restare per l’eternità, un’alta premonizione, ancora una volta pensai che avrei perso la testa per lei. La luce del giorno iniziava a spegnersi, mi ricordai le sere nel deserto e tra le mie di mura; un’ eco lontana mi aveva raggiunto in quel dolce angolo di mondo, era la voce di un’ altro amore che attendeva il mio ritorno, era quella dei miei figli che mi richiamavano in patria e ai profumi della mia terra, non potevo non ascoltare.

Le raccontai ancora di me, di loro e della mia partenza ma questa volta non riconobbe le mie parole, no queste non le stava aspettando. Il colore dei suoi occhi si spense con le candele al giungere della notte ed io mi addormentai, forse troppo in fretta.

Sognai una lama fredda poggiarsi sul collo e la mia testa farsi leggera, il profumo del suo balcone si faceva più intenso, ero d’un tratto tra le sue piante e del magnifico basilico verde brillante cresceva sulla mia chioma mora bagnato dalle sue lacrime. Su di me gli sguardi d’ammirazione dei passanti per l’abbondanza della produzione e quelli impietriti di nuovi impossibili amanti, divenni monito. Sognai di sognare e che al risveglio l’avrei baciata un’ultima volta prima di mettermi in viaggio ma da un millennio cerco di destarmi da questo sonno.

Ciò che non aveva potuto il nemico in battaglia aveva potuto una donna nel suo letto, e persi la testa per lei.

Per mano di una donna mi ritrovai a profumare l’aria della Kalsa e non era un sogno. Mille altre teste con le mie fattezze si posero su balconi e finestre del quartiere ma non mi è mai sembrato un omaggio alla mia sventura ne un inno alla gelosia, i palermitani volevano solo basilico buono come quello della mia sciagurata amante, ma non è il vaso a dare il frutto e quello della gelosia si nutre solo di lacrime amare.

Tramandate la mia sfortunata storia voi che coltivate aromi su vasi che mi somigliano, raccontate dell’amore, della gelosia, dell’inganno e della vendetta ma parlate specialmente di me e dei miei sogni appesi ai vostri balconi per l’eternità.


immaginAzione

Le teste di moro in ceramica di Caltagirone che adornano i balconi di alcune case siciliane sono figlie di un’antica leggenda che narra di una fanciulla che decapitò il suo disonesto amante e ne trasformò il capo in un vaso da basilico. La gelosia e la vendetta insomma fanno parte della nostra cultura millenaria ed ancora oggi affiorano nelle cronache contemporanee con la stessa frequenza con cui germoglia il basilico.


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© Fotografia e Testi di proprietà di Salvatore Gulino

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