Clausura, una oasi nel deserto

CLAUSURA, UNA OASI NEL DESERTO


Ci sono luoghi che pur appartenendo al nostro tempo sembrano governati da regole che non ne contemplano lo scorrere, incuranti delle ore, dei giorni e dei secoli assolvono la loro missione pressoché perpetua tra riti e ritmi anacronistici, specie se riferiti al tempo dell’uomo e non a quello di Dio.

In uno di questi mi sono imbattuto per caso un pomeriggio di qualche anno fa, non che ne ignorassi l’esistenza fisica, impossibile non conoscere la dirompente architettura della chiesa di San Giuseppe in piazza Pola a Ragusa Ibla ma quel giorno mi accorsi anche della sua dimensione spirituale, della vita che vi scorre dentro e del senso altissimo della missione delle monache che ne abitano il monastero.

Il portone aperto sulla piazza era un invito ad entrare. Un canto gregoriano risuonava tra le grate e i santi dell’unica navata tra fasci di luce solare che dalle finestre fendevano l’aria polverosa; dal coro tre monache quasi nascoste tra gli intarsi lignei diffondevano quel canto che non sembrava avere nulla di terreno e così probabilmente era davvero.

Scattai quest’immagine “sbagliata” in preda ad un profondo senso del pudore che decise di guidare persino il mio respiro, il solo spostamento d’aria di un battito di ciglia avrebbe potuto interferire con quei suoni leggerissimi e annientarli, un solo clic doveva bastare e così fu. Uscito dalla chiesa iniziai a riflettere, una scritta catturò la mia attenzione: “Obsculta”, compresi più tardi che si trattava dell’incipit della regola di san Benedetto.

Obsculta” ovvero “Ascolta” anche questo era un invito, stavolta a tendere l’orecchio oltre che alle melodie gregoriane anche alla storia di quel luogo che da oltre quattrocento anni solca con costanza le epoche.

Il modello di vita del monastero è quello della Clausura e pensare che ancora oggi ci siano persone che scelgono di isolarsi dal mondo mi ha indotto ad interrogarmi. Subito una sorpresa, le Monache Benedettine dell’Adorazione Perpetua del SS. Sacramento al Monastero di san Giuseppe gestiscono un museo, “Obsculta” appunto e un sito internet, due strumenti che sembrerebbero incompatibili con l’idea di una vita di reclusione e di isolamento, di clausura appunto ma che a ben guardare si incastrano perfettamente con il senso profondo di quella scelta radicale: “isolarsi dal mondo per donarsi totalmente al mondo”.

Leggere le pagine del sito aiuta a sgomberare la mente dai preconcetti e dalle convinzioni distorte da troppi romanzi e film sull’argomento. Costrizione, fuga, reclusione, sacrificio, rinuncia sono le parole che riecheggiano ancora dalle pagine di “Storia di una Capinera” di Verga ma quello che resta navigando tra le informazioni fornite dalle monache stesse è la precisa sensazione che almeno oggi si tratti di una scelta drasticamente coraggiosa ma consapevole.

Leggendo delle attività del monastero e della loro visione della Clausura matura un sentimento di rispetto e gratitudine verso queste religiose, nessun pregiudizio sopravvive dopo aver letto la storia secolare di questo luogo, piuttosto si rafforza la consapevolezza della nostra inadeguatezza al loro cospetto, ingabbiati come siamo a nostra volta tra le grate del mondo d’oggi.

Non è possibile giudicare, forse c’è solo da ringraziare delle donne che credono a tal punto nella preghiera da offrirla ad un mondo scettico che non si accorge nemmeno di loro ma che salvano continuamente con la loro intercessione.

Varcare quel portone è stato come accorgersi improvvisamente che la pace che tutti diciamo di cercare è davvero possibile e che c’è chi la vive ogni giorno profondamente offrendo questa rivelazione a chi voglia prestare ascolto al suo richiamo, non certamente per aderire ad una vita tanto particolare ma anche solo per fermarsi un istante a dissetarsi in quest’oasi nel deserto.

immaginAzione


Come ho già accennato prima, l’immagine di oggi è “sbagliata”, scattata senza verificare le impostazioni della macchina per il troppo rispetto che la situazione richiedeva. Ogni volta che mi ritrovo ad osservarla però mi sembra di rivivere parte di quelle sensazioni provate al momento dello scatto, come se anch’esse si fossero impresse sul sensore.


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© Fotografia e Testi di proprietà di Salvatore Gulino

 

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